Appunti dalla Peste: mendicanti e re


Pavimento del Duomo di Siena, Ruota della Fortuna

Per un giornale locale sto raccontando i centri Caritas della mia città. I Centri Caritas Parrocchiali sono luoghi dove volontari danno ascolto, conforto e aiuto a persone in difficoltà. Per me è un onore poter incontrare chi dedica la propria Vita ai poveri, ben oltre le ore di servizio.

Povero è una parola che, almeno chi frequenta gli ambienti della Chiesa, torna e ritorna. Gesù ne parla moltissimo nel Vangelo, in quasi tutte le occasioni e non sempre è chiaro il perché: il mondo è  pieno di tante condizioni diverse, perchè Cristo si concentra proprio sulla povertà? E' facile e legittimo leggere questa categoria come materiale, d'altronde poche cose come la povertà richiamano a bisogni concreti. Le parole che associamo alla povertà sono la fame, la sete, il freddo, cose tangibili. E' necessario che ci sia un significato più profondo.

Il povero non può ignorare la propria limitatezza. E' difficile vivere affamati o trovare distrazioni dalla sete. Se si ha un bisogno è difficile pensare ad altro, continuare a vivere normalemente.
La fame e la sete sono particolari per due motivi: non posso essere ignorate e sono, in qualche modo, "viscerali". 
Non sono trascurabili perché uno stomaco che si stringe, una bocca che si asciuga possono bloccare corpo e mente. 
Sono viscerali perchè sono così profondi da congiungere l'essere umano con il mondo animale. Essi, infatti, innescano i meccanismi di sopravvivenza che sono i primi motori dell'azione degli esseri viventi. 

Direi che la condizione che permea e bagna le nostre vite, da marzo a questa parte, è una condizione di povertà. Il contesto in cui siamo inseriti è insuperabile, ignorabile, dimenticabile. Le limitazioni imposte dalla peste, che trovano una eco più o meno proporzionata nelle leggi dello Stato, appesantiscono e soffocano quasi tutti gli aspetti della vita. Queste norme vanno a toccare, tra i tanti, aspetti fondamentali della nostra vita: i nostri impegni e professioni, le nostre famiglie, le nostre amicizie, la nostra condizione economica e psicologica. 

La peste ha spaccato a metà un tempo che avevamo pensato liquido, tutt'insieme rigido. Noi, cittadini di un mondo fatto di reti e connessioni, ci troviamo, tutto ad un tratto, a dover soppesare le relazioni, per capire chi abbracciare, nella fretta e con un po' di colpa. Noi, abitanti apolidi di un mondo globalizzato, sentiamo forte la nostalgia di casa, la mancanza di un nido. Noi, cresciuti col fare più che con l'essere, ci troviamo immobili. 

Siamo mendicanti di un vaccino, di quell'oggetto che può rispondere al nostro bisogno. Siamo piegati in ginocchio a pregare una cura. 

Un giorno, grazie a Dio, tutto questo sarà finito. Quando la peste andrà via, cosa rimarrà? 

Non sarebbe giusto desiderare che il mondo non dimenticasse nemmeno per un istante la propria limitatezza. Significherebbe, d'altronde, desiderare una economia fragile e vita sospese. Dopo questa pandemia spero che si potrà costruire un mondo che sia integralmente ecologico ma anche prosperoso. Non si può desiderare la povertà, o almeno non per gli altri. L'essere umano è capace di essere forte, di creare, di avere successo. 
Allo stesso tempo è una follia desiderare un mondo che abbia come unico valore il superpotenziamento. Le strutture che questa pandemia ha esasperato sono fragili, inadatte, ingiuste, non vanno solamente rese più forti, vanno cambiate. Non si può desiderare solamente la ricchezza. L'uomo è inevitabilmente fragile, incompleto, fallace. 

L'uomo è un mendicante, ma è anche un re. E' chi chiede l'elemosina, ma può essere anche chi allunga la mano. E' chi commette ingiustizia, ma anche chi ricuce. 

Forse siamo chiamati a vivere in questa ambiguità, come un filo teso tra miseria e tracotanza, tenendo sempre a mente che siamo capaci di tutti e due e superiori ad entrambe. Mi piace rubare da Sofocle le parole per raccontare questa idea di essere umano:
[L'uomo]
Scopritore mirabile 
d'ingegnose risorse, 
ora al bene 
ora al male s'incammina.
in alto nella città 
se conserverà le leggi della sua terra 
con la giustizia che ha giurato; 
fuori dalla città, 
se per audacia si macchierà d'infamie.


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