Populismo non significa nulla. Appunti di campagna elettorale.

La nostra politica è malata di interpretazione. Saranno gli editoriali, la tendenza alla glossa propria della società della comunicazione e dei suoi strumenti, sarà la noia, il caldo. Sarà stato Renzi, Salvini, la TV o Gramellini.

La realtà scompare. Si sorride davanti alla proposta di Berlusconi di aggiungere 1.000 euro di pensione a tutti e di piantare un milione di alberi, specie se uno ricorda che è la stessa proposta di vent'anni fa a cui è stata aggiunta la quota sostenibilità (Silvio, questo è greenwashing - Silvio agli anziani i soldi ai giovani gli alberi?). Si può tremare - e tanti ragazzi e ragazze della mie età lo fanno - davanti alla prospettiva di vincita di un partito di estrema destra come Fratelli d'Italia. Oltre la risata e la paura - non si riesce a penetrare nel significato delle parole della politica, non si riesce a comprendere la posizione opposta, ci si posiziona per identità - tutte cose note. La stessa crisi di governo delle ultime settimane conferma l'incrancrenirsi della politica italiana nell'allucinazione, nutrita solamente di linguaggio che echeggia - in un ordine che sembra alternativo a quello reale.

L'oggetto di questo scritto è il seguente: è vero che il dibattito politico è sempre più incardinato attorno a nozioni formali e non sostanziali di politica? comporta ciò un danno? 

Sostenere che la politica segua ritmi, linguaggi, orientamenti formali nell'epoca della disintermediazione della politica - quel fenomeno per cui, in occasioni particolari, perfino in Parlamento i politici si rivolgono direttamente agli italiani in ascolto - può sembrare bizzarro. Ciò che intendo in questo caso con la parola formale non è rituale, normato ma piuttosto qualcosa che esiste in virtù della propria forma, della propria funzione in un ingranaggio, della capacità degli agenti di farne uso - della propria ombra. 

La parola populismo è secondo me il caso più lampante di questa dinamica. Non si è ben sicuri di cosa  significhi, identifica alcune istanze (che saranno, probabilemente, esse stesse prive di contenuto ma funzionali al discorso) come irrazionali e inferiori. Questa parola, forse, intende smascherare ciò che preoccupa anche me: alcune affermazioni che sono fatte senza che la forma e la funzione siano informate dal contenuto reale, ma è il messaggio che distorce il contenuto in vista di un obiettivo dato a monte. Lo fa, però, senza efficacia. La categoria di populismo non penetra nel contenuto per rivelarne la vacuità, ma si concentra sulla forma - e lo fa in modo, tutto sommato, strumentale. Affermazioni diverse per contenuto posso essere identificate come populiste, perchè la parola è priva di contenuto. 

da “Il Corpo del Capitano”  di Luca Santese e Marco P. Valli


La destra e la sinistra, la sicurezza, la crisi, il bigottismo, sono altre parole che serrano i ranghi della discussione e la mutilano. Non riusciamo più a capire di cosa parliamo perchè maneggiamo immagini di opinioni e di fatti, immagini che, come preconfezionate, non si prestano bene ad essere fertili o scomposte.

Per dirla con Marcuse:

Nei punti nodali dell'universo del discorso pubblico, compaiono proposizioni analitiche autovalidantisi, che funzionano come formule magico-rituali. Ficcate con un martellamento continuo nella mente dell'ascoltatore, esse pervenogno a chiuderla nel cerchio delle condizione prescritte dalla formula. (H. Marcuse, L'uomo ad una dimensione, pag. 99)

Non sempre, però, in politica è necessario trovare una sintesi, la democrazia vive della concorrenza irrisolta e irrisolvibile tra parti, ma la realtà deve rimanere l'oggetto. Crediamo di vivere in un'epoca post-ideologica, dove non esistono confini nè conflitti, ci ritroviamo la stortura ideologica in ogni rilevazione, confini politici tra quartieri di una stessa città e una società sempre più malata di conflitto - in cui persone di opinione diversa comunicano sempre più difficilmente. 

Non è detto che questa situazione sia dovuta allo svuotamento del linguaggio della politica, della sua intensificazione in senso funzionale e non realistico. E' vero, per esempio, che i valori che condiviamo sono, apparentemente, sempre di meno e che le comunità politiche cadono facilmente (o per natura) nella tentazione del nemico - specie in momenti di alta tensione come quelli che viviamo. La situazione del nostro discorrere, però, è un elemento che tocca e potenzia l'inimicizia, perchè mina ciò che unisce due esseri separati: il linguaggio. Il parlare viene militarizzato, chiudendolo in loop autovalidante.

Taluni cercano di sviare il problema con la promessa di una politica neutra, tecnica, puramente amministrativa ma è un inganno. La ricerca di uno spazio condiviso salvo dalla guerra di tutti contro tutti non può terminare in una soluzione pragmatica (si può notare che essa è la conclusione naturale del liberalismo, della privatizzazione dei credi, ma non possiamo discuterne qua). Far passare alcune scelte per naturali, inevitabili, è altrettanto violento che cercare di imporle disarmando l'avversario - si svuota l'alternativa di sostanza. Si dice che è l'alternativa è una bugia (una fake news?), una promessa alle pancie dei popolani, un complotto. E', in ultima istanza fare ciò che si biasima. Il linguaggio può smascherarne l'inganno solo a costo di volerlo penetrare. Le ipocrisie non si vincono dicendo che sono ipocrisie, ma svelandone la frattura nascosta. Non può essere, l'amministrazione - pregna di linguaggio tecnico - la soluzione al deterioramento del nostro parlare. 

Tra le soluzioni che si possono prospettare io credo sia degno prendere in considerazione vari modi per ridurre il peso della comunicazione nella politica. Si possono favorire altri canali esperienzali di vivere la comunità e l'applicazione di ideali, che non cadano nella fissazione ossessiva dell'inimicizia, nello snobismo o nell'odio. Incontrarsi, raccogliere storie, non pretendere di svuotare l'argomento dell'altro ma educare le persone a penetrarne, anche con audacia, le ragioni - non per giustificare tutto, ma per rendere tutto disponibile. Fuggire dalla paradossale afasia politica del nostro tempo evitando la crescita spropositata della voce.

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