Sarajevo: 0

Nel ristorante dove ho cenato una signora mangiava il gelato da una coppa dell'amarena Fabbri, quelle bianche e blu. Il pavimento di quella via è di pietra ocra chiaro, quasi color panna, e assomiglia a quella del centro di Gerusalemme. Sono uscito solo con un maglione, fa meno freddo di quanto mi aspettassi. Le monete, per certi versi, assomigliano agli euro, ma valgono la metà. A giro ci sono un sacco di moschee, ma non ho ancora sentito cantare un muezzin. Pausa. 

Il nostro inviato da Sarajevo. Macchè. Mi ci sono spedito da solo a Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina. Una mano grossa me l'ha data l'università, ovviamente, per cui starò qua diversi mesi, fino a inizio agosto. Questo è il giorno zero. 

Stamani sono uscito dal piccolo appartamento che ho affittato per i primi giorni e ho pensato che avrei voluto infilarmi in un bar e scrivere un po'. Ho il progetto di pubblicare un diario di questo soggiorno e ho pensato che sarebbe stato bello aprire il primo pezzo con la raffinatezza e la sottile malinconia di un passaggio delle Città Invisibili. Mi sono immediatamente ricordato che quel libro, come pressochè tutti gli altri, sta a casa mia a qualche centinaio di chilometri di distanza. Per cui mi sarei dovuto sforzare di andare a mente, magari dando un occhio online. E' vero, ovvio, che si trovano i PDF di tutto online, ma insomma, questo pezzo devo pur scriverlo abbi pazienza, e poi voglio dire un'altra cosa. Ho passato gli ultimi giorni in Italia a salutare amici e parenti (sulla bellezza perfetta di certi sguardi non è possibile dire nulla - per cui soprassediamo). Tra un caffè e l'altro, prima di un "ti passo a prendere" e un "carico per questa partenza?", nell'istante dopo aver schivato un "in Bosnia?! ma i tuoi genitori?" mi sono gettato dentro la libreria di camera mia, ho cercato di rileggere il rileggibile, di fotografare le pagine più succose, di memorizzare qualcosa. Ho un paio di domande da fare a questa città, volevo arrivare preparato.



Mi sembra che i numeri abbiano una loro consistenza - di certo hanno una loro consistenza i numeri naturali (1, 2, 3...). Nell'insieme figura anche il numero 0, ma io suggerisco che il fenicio o l'arabo che lo ha inventato avesse bisogno di una botola, o forse di un seme da piantare tra le viscere infinite della terra e la volta interminata del cielo. A unire l'1 e il -1 è solo questo foro cavo nella densità inamovibile dei numeri, a unire un paese e un viaggio in un altro, a unire la domanda e le risposte, a fare in modo che qualcosa di una risposta inattesa arrivi all'orecchio. Insieme attrezzato e disarmato, questo è il giorno zero. The unimaginable Zero summer (Eliot, Little Gidding).

Come lo zero è una botola, il giorno-zero è una membrana, un telefono da cui si parlano la vita incrostata fino a qui e la pavimentazione di una città. Al telefono Marco Polo e la scarna ma entusiasta combriccola del mio cervello cercheranno di strappare a questa città dai mille volti uno scoop, una dichiarazione, una briciola di storia. Andare lontano per ascoltare le risposte, per avvicinare l'orecchio, e poi fare una capriola ("come colui che leggerissimo era" nel Cavalcanti di Calvino) e, in una città lontana, capire cosa rimane di me. Ascoltare le risposte, interrogare le domande. Inimmaginabile giorno zero, ha ragione Eliot.

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Commenti

  1. "...E i tuoi genitori ?? ..."
    Uno eccolo, sono l'arco che sapeva dover scoccare la freccia dei figli avuti in dono, direi in prestito non suonasse brutto ..ma rende l'idea di una fortuna avuta solo per restituirla, possibilmente arricchita, non so se io ho aggiunto o tolto al dono ricevuto, forse ho sia aggiunto che tolto, ma una cosa è certa : solo io -anzi noi (genitori)- potevamo farla , prendere la freccia e lanciarla, forte, col nostro massimo sforzo ..spero tanto che la freccia arrivi dove il tolto e l'aggiunto, insieme al donato, trovino perfetto compimento perché tutto torni nella magnifica economia del genere umano creato e donato.
    Con amore, buon viaggio, fino a lì e poi anche altrove.

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