Sarajevo: dalla parte dei cattivi

Non mi ero mai sentito dalla parte dei cattivi. In Bosnia Erzegovina oggi si ricorda il genocidio di Srebrenica, in cui più di 8000 persone sono state uccise dalle milizie serbe. Il genocidio è avvenuto in una vecchia fabbrica di batterie poco fuori il centro abitato. C'erano tanti profughi, giunti lì per cercare la protezione dei caschi blu dalle milizie serbe, guidate da Ratko Mladic. 
I 600 caschi blu si fecero sopraffare dalle milizie. C'è un video tremendo di Mladic che dà la cioccolata ai bambini accampati, dicendo loro di non avere paura. Mladic è stato condannato dal Tribunale per la Ex-Yugoslavia per crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio. Sta ancora scontando l'ergastolo. 
Un mio professore, qui all'Università di Sarajevo, ha detto che gli europei non hanno fatto nulla perchè non importava venissero uccisi musulmani. Saranno solo gli americani, soprattutto dopo le immagini di Srebrenica, a forzare una postura più interventista. Gli aerei per bombardare la periferia est di Sarajevo e altri obiettivi strategici partirono dall'Italia, che però terrà un ruolo marginale fino alla fine nelle operazioni nella guerra. 
E' stata una sorpresa sentirmi coinvolto dall'accusa. Nel 1995 non ero ancora nato.
A Sarajevo, però, il passato non va mai via di scena. Si legge nei palazzi porosi per i proiettili, nelle macchie di resina rossa che ricordano l'esplosione di un mortaio. Io, coi miei vent'anni di meno, divento parte di un "voi". Un po' è una costruzione, un modo per abbreviare; un po' è il passaporto con cui viaggiare comodamente, la borsa di studio per vivere meglio della maggior parte dei cittadini di Sarajevo. In parte è un "voi" che ricevo, in parte un "noi" in cui mi chiudo in un paese lontano, così diverso. Il "noi" di un mondo che mi sembra più normale e più giusto. Ancora non mi spiego perchè mi ritrovo a descrivere la guerra, la politica estera dell'Unione coi pronomi personali. A 17 anni avevo una spilletta blu presa a Bruxelles sullo zaino, mi sembra disonesto lasciarla ora che sono dalla parte dei cattivi. Mi sono affezionato all'Unione pensandola dalla parte dei buoni. Mi sono infilato in un "noi" - cosa farne ora che ci guardo da fuori?
Sarajevo è tappezzata di bandiere dell'Unione Europea, ma sui marciapiedi del centro lasciano un'ombra ambigua. Ho festeggiato la prima giornata dell'Europa della mia vita il 9 Maggio. Sopra il bracere che ricorda i partigiani - la fiamma eterna - c'era un enorme drappo blu a stelle gialle, leggermente distopico. C'era un gran concertone, tutti ballavano. Tra il 50% e il 75% della popolazione della Bosnia Erzegovina vuole entrare nell'Unione. Una amica di qui ha sintetizzato la questione con "o l'Europa o il deserto". I finanziamenti internazionali, comunitiari, europei, americani irrorano molti aspetti della vita in Bosnia, ma con sé portano sempre condizionalità esterne, non raramente distorte, idee di pace, di società, di mercato che si importano più massicciamente di qualsiasi bene di consumo. Una funzionaria europea mi ha detto che lavorare con la Repubblica Srpska - l'entita politico-amministrativa serba - è "come lavorare all'asilo". 

Il paese sembra rimanere a galla grazie ad un salvagente stretto, ficcato dalla testa un secondo prima dell'annegamento. La costituzione stessa, scritta a Dayton (Ohio, USA), risponde a questa logica: il paese c'è e avrebbe potuto non esserci, ma il paese è rinchiuso in un immobilismo sistemico. 
Sono atterrato a Sarajevo pensando all'eccezionalità dell'intervento internazionale in Bosnia, la prima grande operazione NATO, un inedito dispiegamento di forza - anche se forse sbagliato sul lungo termine. Non ho 20 anni di più e la poca politica estera che conosco è stata - almeno fino all'Ucraina - quella del ritiro, del disimpegno, del leading from behind. Non ricordo come ci siano arrivati, ma ricordo un aereo e un altro ancora decollare e lasciare l' Afghanistan e le sue ragazze ai telebani.
Se c'era un posto dove all'Europa e agli USA era importato qualcosa mi sembrava potesse essere la Bosnia. Ingenuamente mi ero messo anche io dalla parte di quelli a cui importa, dalla parte dei buoni. 
Cambiare campo di gioco è servito a guardarsi da fuori, con il doloroso paradosso di sentirsi europei come non mai e osservarne le storture con una attenzione che non avevo mai avuto. Non mi ero mai sentito così parte di questo "voi", non avevo mai visto questo "voi" così deficitario. Ripetiamo che vogliamo essere dalla parte giusta della storia, forse dovremmo anche domandarci della storia di chi - essere dalla parte giusta della nostra storia è tremendamente facile. Siamo stati i traditori, siamo i colonizzatori, gli sfruttatori, siamo i salvatori (anche quella è una colpa). Una civilizzazione davvero grande può guardarsi solo da dentro?

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