Sarajevo: la pagina a destra
Salgo su per la salita di casa mia. Piove a dirotto e questa mattina non ho preso l'ombrello. Piove ed è sera, le strade di Sarajevo non sono illuminate come le nostre - anche se questa è impreziosita dalle luci di un minareto. Non vedo molto intorno a me: l'aria è sfilettata dalla pioggia, ho il fiatone, tengo il capo chino per evitare il fastidio dell'acqua tiepida sulla faccia. Mi pesa lo zaino: ci sono due bottiglie di vino, il pane che ho appena comprato, il computer e il caritore e un taccuino, la penna di plastica gialla, qualche libro. Sto tornando da un pomeriggio con due ragazzi portoghesi, P. e L., e pure un ragazzo di Sarajevo, M. Ho chiesto a M. se sia serbo o croato o bosniaco - dice che il padre è croato e la mamma bosniaca; i serbi gli stanno abbastanza antipatici, col loro nazionalismo velenoso che "non ci rende un paese normale", ma pure i croati esagerano un po' col cristianesimo; la maggior parte dei suoi amici, alla fine, sono bosniaci, ma