Appunti dalla Peste: ode alla metà.

Frammento di testa colossale di giovane, Grecia, II sec. d.C., MET 

La mia regione torna zona rossa. Tornano lentamente i pomeriggi lunghi in cui il tempo sembra non voler passare. Le giornate sempre più corte sicuramente non aiutano, così come non aiuta la sensazione pungente che questa condizione si allunghi indefinitivamente. 

La peste ha cambiato il mio anno di liceo e ora nelle pause tra una versione e un lavoro di gruppo svagarsi è difficile, è facile scivolare nella spirale insoddisfacente di Instagram o nella noia mediocre del piumone. Proprio in uno di questi momenti di barba mi sono messo a pensare a cosa è che ci manca così tanto. Ci mancano gli amici, le passeggiate, le feste, la scuola o il lavoro in presenza, ci mancano i nonni, i fidanzati, le discoteche e i caffè. Ci deve essere, però, un fattore comune. 
Sono scettico davanti a chi invoca la totale de-umanizzazione della vita in quarantena. Mi sembra un po' esagerato e poi ho già avuto modo di spiegare (qui per leggere l'articolo) che, secondo me, quello che ci rende uomini e donne lo possiamo conservare anche in questi tempi duri. Non è possibile sostenere che stare da soli chiusi in casa, sopratutto con le tecnologie che abbiamo a disposizione, significhi rinunciare alla socialità che ci rende umani. No, nemmeno buttando nel mezzo Aristotele. Se non fossimo più umani dovremmo essere qualcos'altro e, non so voi, ma io mi sento ancora un uomo. 

Qualche giorno fa ho finito di leggere "Il Visconte Dimezzato". Un visconte torna da una guerra diviso, fisicamente, in due parti, una buona e una cattiva. Una rovina il suo villaggio, l'altra lo aggiusta, una minaccia e uccide, l'altra ama e istruisce. 
Entrambe le parti, però, sono contente di essere state dimezzate e descrivono il loro stato con soddisfazione. Le parole che seguono sono rispettivamente della metà buona e della metà cattiva:
"O Pamela, questo è bene dell’essere dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo."

"Così si potesse dimezzare ogni cosa intera” disse mio zio [...] “così ognuno potesse uscire dalla sua ottusa e ignorante interezza. Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di vedere tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te lo auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te nel mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutti sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani."

Si direbbe che noi siamo posti in una forzata condizione di interezza in queste settimane. Siamo, chi più chi meno, obbligati a vivere dovendoci bastare, come se una giornata potesse passare senza abbracciare un altro corpo, sentirlo vivo e forte contro la nostra pelle. Come se non ci fosse bisogno di essere davanti a per essere davvero qualcuno. Ossessionati come siamo dall'idea di relax e generalmente insofferenti nei confronti del prossimo realizziamo che riposo e silenzio hanno valore solo in vista di un bene più grande: me davanti all'Altro.

Ora ci troviamo puntellati dalla nostalgia, dalla mancanza e dal bisogno: il nostro cuore si stringe pensando agli amici, agli amori, alle feste e ai caffè. In quei pomeriggi che non passano mai, fradici di tedio, ci rendiamo conto di una precisa incoerenza: se ci guardiamo allo specchio siamo, a differenza del visconte, interi. Intero, dal'altronde, sono l'uomo e la donna nella capacità di faticare e produrre, valorizzata dal nostro sistema. Se, allontanati dalla funzione, chiudiamo gli occhi ci rendiamo conto che la crepatura non è momentanea né post-traumatica ma è strutturale. Il Visconte dice che "la bellezza sta solo in ciò che è fatto a brani" e, secondo me, non bisogna intendere questa condizione come successiva ad una violenza ma come sostanziale: la bellezza sta in ciò che per sua natura è parziale, incompleto, deficitario.

Questa affermazione può sembrare motivata da un misticismo da due soldi, ma giuro che non resisto in silenzio 10 minuti, figuriamoci se c'è spazio per le visioni. La Bellezza, intendo dire, sta in ciò che è spaccato perchè solo ciò permette un incontro creativo con qualcosa di diverso. Senza crepe il destino dell'universo è già deciso e noi siamo solo tardivi spettatori di una vicenda già scritta. Solo l'incontro con l'Altro ci aiuta a guardare la realtà, di noi stessi e non solo, come una premessa di un racconto nuovo. 

Quando sto lì, solo sul cuor della mia camera, mi pare quasi, per solo un istante, che non ci sia nulla di vivo. Tutte le parole che ho, tutte le emozioni che pulsano, tutte le paure e i desideri sono cose già scritte, già morte, se manca un Altro. Qualcuno che mi accolga e mi superi, mi sia identico eppure a me irriducibile.

Ecco perchè, per quanto vale la mia opinione, stiamo così male. Quando stiamo da soli ci sentiamo storie già scritte. Allora quando potremo abbracciarci ricordiamo che l'Altro non è solo un passatempo ma è la cura della nostra ferita e il suo destino.





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