Appunti dalla Peste: Poeticamente, il silenzio.

Quasi tutti gli Appunti dalla Peste che ho condiviso fin'ora hanno come oggetto, esplicito o implicito, il parlare, il discorso, il racconto. Credo, infatti, che nella parola ci sia tanta della vita degli uomini e delle donne. "Poeticamente abita l'uomo" scrive Holderlin. La parola plasma la dimora degli esseri umani in un mondo che senza discorso è disordinato, insensato, confuso. In questi mesi ho cercato di pronunciare la Peste. 

In questi giorni sto leggendo "Aspettando Godot" di S. Beckett. E' il copione di uno spettacolo teatrale scritto negli anni '40. E' considerato una pietra miliare del "teatro dell'assurdo". E' un testo pieno di battute criptiche, con una trama essenzialmente incomprensibile e impossibile da interpretare, dei personaggi folli. Non si tratta, però, di un'opera ridicola o nonsense. Ogni battuta trasuda di un significato denso e fondamentale. Ciò che mi ha colpito maggiormente è il silenzio incastonato tra le battute. 

Nel copione la pause di silenzio, più o meno lunghe, sono quasi 200. Per uno spettacolo in due atti, che dura più o meno due ore, è un bel po' di silenzio. 

Il silenzio incastonato. "Aspettando Godot"
 

E' vero che pronunciare le cose della vita è un esercizio fondamentale per gli uomini e le donne. E' anche vero che non sempre parlare e pronunciare sono sovrapponibili: se così fosse il XXI secolo sarebbe l'era più beata della storia umana. Gli strumenti digitali, infatti, ci permettono di accedere ad un flusso ininterrotto di comunicazioni verbali e testuali. Sono parole quelle che sentiamo in TV, su youtube, sulla radio e sui podcast, in videolezione. Sono parole quelle che leggiamo al telefono e al computer. Purtoppo, nella maggior parte dei casi, non sono parole che pronunciano la realtà, capaci di liberarci, ma rumori che stordiscono. 

Per guarire da questo stordimento, dall'ubriacatura di sensazioni che sempre ci avvolgono si può ricercare uno spazio candido, vuoto. Il silenzio può essere inteso come il piano bianco su cui appaiono le comuncazioni. E' una concezione meccanica e parziale. Questa specie di silenzio, infatti, è ampiamente accessibile a noi. 
La solitudine in cui sono state immerse molte delle giornate di questo anno ha lasciato moltissimo "vuoto". Non ricordiamo, però, questo vuoto con soddisfazione. E' evidente che siamo in cerca di altro.

Il silenzio come piano bianco. Piet Mondrian, "Composizione in colore A", 1917

L'opera di Beckett mi ha aiutato ad aggiugere un elemento alle cose che mi mancano. Mi manca stare in silenzio con le persone. Se l'apparenza è la stessa del silenzio come "vuoto", ciò che mi manca è quel silenzio misurato, pieno. 
Ovviamente non sento molta nostalgia per gli ascensori dove si sta zitti un po' imbarazzati (confesso che quelle situazioni mi divertono molto, ma non abbastanza da farmi struggere). Non mi mancano i silenzi vuoti, bianchi, ciechi. 
Mi manca stare in silenzio con le persone giuste, con la persona giusta. Mi manca tacere davanti al tramonto, davanti al mare, oppure dopo aver ascoltato qualcuno dire qualcosa di importante, urgente, faticoso. Mi manca tacere prima di rispondere alle domande. Mi manca sentire tacere chi non ha risposte. 

In quelle 200 e passa battute di silenzio Beckett spalanca la possibilità del silenzio come comunione. Se quando si comunica si è sempre puntuali, tacendo insieme si condivide il nostro intero essere-nel-mondo. Io sto, accanto a te, davanti al mondo. Si tiene la bocca chiusa non per non pronunciare nulla, ma per pronunciare tutto. Non per rinunciare alla poesia, ma per essere oggetto della Parola. 

Volendo recuperare un'espressione heideggeriana per cui noi siamo gettati-nel-mondo, tacere con qualcuno significa condividere questa condizione in una forma piuttosto pura. Io sono qui, accanto a te, esercito la mia esisenza in toto e tu, accanto a me, sei occupata, parimenti, ad essere. 

Le risate, i concerti, le feste, i bar. Poi tornerà anche il silenzio. E lì davvero ci riconosceremo. Quando in due, in quell'indicibile che non è muto ma è quieto, ci getteremo nella realtà abitandola decisamente. 
E sarà, di nuovo, il silenzio che non ha necessità di spazzare via ma il desiderio semplice di essere nel mondo. Sarà, forse, la pienezza. 

Scriveva Rilke: 
Oh, se trovassimo anche noi un qualcosa di umano
discreto, esile, una nostra
striscia di fertile terra, tra fiume e roccia.
Perché il nostro cuore ci valica
[...] E più
non possiamo seguirlo con lo sguardo
in immagini volte a placarlo, neppure
in corpi divini nei quali, più grande, si modera. 
 Qualcosa di umano. K. Malevich, "Bianco su bianco", 1918

Vi invito a desiderare questa striscia esile e discreta. Un bianco fecondo, innestato in un bianco vuoto. 
Vi abbraccio

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