Il mare davanti ai vent'anni

E' il 1 Gennaio 2022. Sul mio telefono scorro una fittizia chat di whatsapp dove l'unico interlocutore sono io. E' un misero zibaldone dove si mischiano appunti, cose da fare, articoli da leggere o da tenere a mente, qualche pensiero, un po' di citazioni. Leggo un estratto di un manifesto futurista, lamenta lo sforzo dei professoroni di inizio novecento per soffocare "l'indomabile energia della gioventù". Io mi faccio trascinare da facili entusiasmi con piacere. La religione che professo annovera la Speranza tra le tre virtù più importanti. Non sono sicuro che sia la cosa giusta, mischiare la Speranza e l'ottimismo, ma sento il dovere morale, l'invinto incessante, la tentazione eccitante nel credere sfrenatamente nel futuro, nel giorno che si apre, nell'anno che si spalanca. 

E' facile sperare quando si hanno vent'anni. Io, in particolare, al momento ne ho 19. Il futuro è meravigliosamente spropositato rispetto al tempo passato. Per alcuni coetanei questo è motivo di timore, per altri di eccitazione e per la gran parte di noi entrambe le cose. C'è quella linea sottile e sempre in movimento a separare il presente dal futuro. E' simile a un'onda del mare, o forse ai fili che si usano per stendere i panni ad asciugare. Un sottile, poroso, mobile confine tra ciò che siamo e ciò che saremo, che vorremo essere, che non potremo non essere. Il mare vasto del futuro incombe sulla piccola spiaggia del passato di un ventenne. Uno si ritrova davanti a questo spumeggiante mare, a tratti grigio a tratti brillante, su di una battigia che sente troppo piccola. 

Manet, Sulla Spiaggia

Auden in un meraviglioso libro, intitolato Gl'Irati Flutti, spiega come il mare sia, per quanto contano le immagini, uguale al deserto, come ci sia stia soli, come l'eroe impari a dominarlo. Ma noi non siamo eroi romantici, non siamo soli, non impareremo mai a dominare né il deserto né il mare. Però è vero che, su questa battigia che si ha a vent'anni ma che forse è sempre la stessa battigia, cerchiamo alcune coordinate, alcune indicazioni su come guardare a questo mare, su come - per i più arditi di noi - navigarlo. Lentamente impariamo che volto hanno i mostri che lo abitano, i ghirigori di luce disegnati dal sole tra le nuvole. 

Avere vent'anni comporta che si conoscano alcuni mostri, ma senza poter sapere se questa conoscenza sia vera o meno, se sotto sotto ti stiano fregando. Ancora non si sa bene quale giro seguano le costellazioni nelle notti dell'anno, perché si spostino, come tornino. Si è quasi certi di un po' di cose, ma nulla è fuori discussione. Il futuro è grande e il passato non basta a reggere il confronto. I miei ricordi, queste amicizie, queste passioni, le terrò, le userò per guardare al domani, le lascerò indietro - che succede quando si cresce? 

Non è facile convincersi che una nuova onda non arriverà a buttare giù tutto. Un giorno mi sveglio, mi guardo, e sono lo stesso. Il giorno dopo sono un cantiere e non c'è nemmeno un tettuccio per ospitare due amici o una ragazza - non mi va di vedere nessuno. Non ho grandi alternative a questo stato un po' buffo, ma se c'è una paura seria che lo accompagna è quella delle contingenze, del non-poter-fare-altrimenti, del subire.

Detesto essere vittima delle contingenze - credo sia una sorta di trauma dopo Marzo 2020. Lì sembrava che il mondo finisse e che il mare ci avrebbe sommersi tutti. Ci ha sommersi, eppure tanti amici sono rimasti, tante passioni sono ancora qui, tanti sogni sono ancora lì, in mezzo al mare luminoso. Quel che non c'è più è sfiorito con la stessa grazia dei fiori, oppure è stato allontanato senza nostalgia. Voglio sperare che la vita continui così: col mare che ogni tanto straborda, con lo specchio che a volte mi frega, con le frattali che questi eventi spalancano - ma senza melodrammi, potendosi riconoscere, potendo allargare la spiaggia di ciò che sono senza dover costruire una diga.


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