L'Europa, la pace, la guerra spiegate a mio figlio

Ho chiesto a mio padre Alessandro di poter pubblicare questo suo testo. E' un padre che scrive a un figlio sulla guerra, sulla sua vita e sulla doccia fredda della guerra in Ucraina. E' un prezioso esercizio di dialogo tra generazioni: quella dei miei nonni, quella dei miei genitori e la mia - riuniti attorno al cantiere della pace europea e alle eternee macerie della guerra. Buona lettura.

 


Classe 1968, sono stato uno studente italiano ed europeo, laureato in materie politiche e giuridiche nel corso del penultimo decennio del secolo scorso.
    Nella mia vita ho sentito spesso parlare di guerre: quelle antiche, sui libri di scuola, e quelle del secolo scorso, incontrate anche e soprattutto all'università, ma, in modo significativo, per mezzo dei racconti di persone viventi, o vissute: i genitori miei o di miei amici, nonni, miei e altrui, altri parenti e altri, non giovani, conoscenti. 
    Le guerre le ho conosciute anche per mezzo della letteratura e delle pubbliche testimonianze, provenienti anche da fronti contrapposti.
    Nelle ultime estati mi è capitato spesso, in Trentino, di visitare i luoghi della prima guerra mondiale; non solo trincee, ma anche resti di installazioni le più varie, volte a comporre la straordinaria e lontana vita del soldato con quella di ogni uomo nell'essenziale della sua quotidianità.   
    Non ho fatto il militare grazie a un gradito emendamento a una qualche legge, che mi ha permesso – con gran scorno dei miei fratelli maggiori – che alla Patria fossero bastati loro (due allievi sottufficiali, mica robetta) e che io potessi risparmiarmi “un anno buttato al vento” rispetto alle magnifiche sorti che dovevo costruirmi. 
    La successiva eliminazione della leva obbligatoria mi è parsa prima di tutto un atto di giustizia familiare, che mi lavava dal senso di colpa che comunque la sottrazione a quell'anacronistico dovere mi aveva lasciato, come una macchia che ogni tanto riaffiora, consacrandone definitivamente l'inutilità per la società moderna.
    Passato: tutto quello che conosco della guerra appartiene al passato.
    E' vero che di guerre ce ne sono ancora tante ancora oggi in giro per il mondo: ne potrei indicare alcune, ma a parte un po' di retorica pronto uso, cosa saprei dirne? Le immagino tra popolazioni arretrate, poco civili, inclini a perpetuare scontri tra etnie o tribù, lotte per scampoli di territorio o per predominanze religiose, o figlie di violenza, ordalie, sopraffazione.
    Roba d'altro mondo, roba da Alieni: io al massimo ho conosciuto quella Fredda, ma ero nella comfort zone.
    Io infatti vivo in Europa. Mi sento cittadino d'Europa ancor prima che d'Italia (che amo). Il fatto che nelle capitali europee mi posso muovere a mio agio e quasi sentirmi a casa, che generalmente non cambio più la valuta per acquisti, che sono in grado di capire e farmi capire senza problemi, sono una fetta del mio status
    Io sono un figlio del progetto Erasmus (uno dei primi). L'Europa è la casa dove poso il mio cappello.
    L'Europa nasce sulle ceneri (delle cause) della seconda guerra mondiale e dalle intuizioni e dalla volontà di uomini illuminati che  volevano evitarne una terza (anche perchè la seconda l'avevano pagata profumatamente).
    Questi settant'anni di pace che ci hanno regalato mi rendono il presente fisso e immodificabile: passato e presente appartengono a due mondi diversi. Del primo posso solo conoscere i racconti, senza gran coinvolgimento. Il progetto di stabilizzazione del pezzo di mondo in cui vivo appare sostanzialmente completato e ciò che ancora ne manca è poco rilevante.
    Sensato per me, ma retorico, il continuo richiamo dei nostri cari vecchi a non dare per scontata la pace e alla necessità di non abbassare la guardia a difesa dell'assetto democratico europeo e occidentale.
    Retorica accettabile, ma tutto sommato superflua: non nascondiamoci che il mondo intero lo comanda la finanza. Quella non guarda al passato, piuttosto ha bisogno che si sia sempre pronti a incrementare consumi, ci deve costantemente tenere sul filo del “sei felice”, ma suggerisce incessantemente che “potresti essere più felice”. Compra, spendi, naviga, viaggia, concediti, scopri, approfitta. E' tutto intorno a te. Con un collegamento web puoi fare qualunque cosa da ogni angolo della Terra: non devi più neppure spostarti. Si possono fare le cose così velocemente che spostarsi per farle le rallenterebbe.
    Neppure il baco che la velocità insinua nelle nostre vite - e che ci fa sospettare che il processo partecipativo democratico sia intrinsecamente troppo lento e inadatto all'assunzione di decisioni efficaci, dando vantaggio a quei sistemi che si stanno progressivamente allontanando dal metodo democratico e che abbiamo raffinatamente battezzato “democrature” - ci fa sentire il nostro sistema di vita soggetto a un qualche pericolo.
    Troviamo un remoto angolino di pensiero dove collocare, senza che ci disturbi, anche l'assalto al Congresso USA dei trampiani e, prima di quello, abbiamo un angolo ancor più nascosto per le notizie di interventi russi volti a manipolare le elezioni americane, lo stesso dove ammassiamo anche le notizie su fatti e misfatti del signor Putin. Su avvelenamenti e omicidi di politici antagonisti, di giornalisti e scrittori; su tre giovani e carine cantanti sbattute in Siberia per lesa maestà verso il neozar di tutte le Russie (perchè evidentemente è un errore anche pensare che sia una soltanto), per le limitazioni alle più svariate libertà, in primis quella d'espressione. Forse abbiamo ricondotto a perdonabile prouderie anche i sorvoli di mezzi militari russi sui cieli dei più svariati paesi europei.  
    Niente pare essere stato in grado di farci alzare gli occhi dai telefonini e farci pensare. Sono certo che molti della mia generazione, e non solo, hanno ricondotto a irrilevanza questi e altri fatti, fino al punto di non allarmarsi neppure quando i mezzi militari ammassati al confine ovest della Russia erano una presenza oggettivamente allarmante.
    Abbiamo continuato a voler credere che la nostra epoca fosse eterna e che i confini tra Stati, divenuti così privi di significato nella nostra vita globale, abituati come siamo ad attraversarli senza averne quasi più contezza, non potessero essere qualcosa per cui ancora si può morire nel vecchio continente. O per cui si chiede ad altri di morire.
    Invece il 24 febbraio 2022 le nostre certezze sono state schiacciate come da un carrarmato una macchina che si trova a passare per la strada che quel mezzo intende attraversare.
    Il 24 febbraio 2022, la nostra vita calda e liquida ha assunto la freddezza delle “ostilità” (credo di non aver mai scritto questa parola in luogo di “guerra” prima di oggi) e la rigidità del rigor mortis. Sono morte le nostre idee, dobbiamo andare a ricercare quelle dei nostri cari vecchi, esplorare la soffitta delle cose perdute. 
    L'Europa non è più fissa, i confini sono taglienti, i popoli non coesistono, ma cozzano l'uno contro l'altro. La mia casa è in fiamme e io davvero non me ne faccio una ragione. 
    Figlio mio, puoi essere chiamato a sparare a un altro figlio un po' meno mio solo perché hai un ordine di invasione da eseguire e puoi essere ucciso da un coetaneo, in lacrime, su quel terreno in cui sei stato lanciato. Un uomo che fino a ieri avresti potuto conoscere una sera in birreria, e che avresti potuto farti amico, deve ora annientarti. 
    Il vostro duello determinerà dei nuovi confini sul terreno. 
    Per tutto questo è bastato un uomo: un uomo solo al comando, in preda solo a se stesso, che semplicemente non la pensa come abbiamo pensato noi: lui decide chi è un pericolo da abbattere o un goloso boccone da ingurgitare.
    Ora improvvisamente sento nella mia pancia perchè la Democrazia era così importante e non trascurabile.     Ecco perchè avremmo dovuto ascoltare con maggiore attenzione ciò che ci pareva solo un racconto, a volte crudo, a volte romantico, ma mai tridimensionale.
    Ecco perchè avremmo dovuto partecipare alla vita politica e pretendere di custodire i custodi. Votare massicciamente, in primis: un dovere prima ancora che un diritto. Ora tutto assume una diversa fisionomia e quella vecchia retorica diviene così importante e sostanziale. 
    Su Putin avremmo dovuto ricordarci di quelle parole che ci insegnano che chi è disonesto nel poco lo è anche nel molto: avremmo dovuto alzare gli occhi dai telefonini e preoccuparci seriamente delle sorti delle Pussy Riot, di Navalny, degli scrittori e giornalisti messi al silenzio. E di quei velivoli a spasso sopra le nostre città e di quei carrarmati. Di un cretino che crede di essere qualcuno perchè cavalca a petto nudo nel gelo delle steppe o fa finta di saper uccidere un leone a mani nude (e noi non abbiamo tifato per il leone). Ci siamo svegliati solo quando è arrivato il molto, dopo tanto, tanto poco
    Purtroppo la Storia, magistra vitae, anche stavolta non ci ha insegnato niente. 
    Speriamo che l'odierna lezione di recupero non sia troppo dolorosa.

Commenti

  1. Meno male che dall'"altra parte sono tutti tanto bravi. Stai tranquillo! Un abbraccio.

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