Non capire nulla dell'arte contemporanea

 Sono nell'Auditorium della mia università, qui a Venezia. E' una sala stretta ma piuttosto alta, con un solo ordine di balconi. Ai lati della sala, in alto, ci sono delle statue: allegorie delle arti. In alto un bel affresco decora il soffitto. I colori non sono forti, ma ci sono molte figure fluttanti, una croce: sarà forse un trionfo di qualcosa. A suonare c'è Daniele Roccato. Ho scoperto essere un musicista di contrabasso (un grosso, enorme, violino) piuttosto noto, attivo soprattutto nel campo della sperimentazione, della musica contemporanea. Ad attirarmi infatti era stato proprio la descrizione del programma: 

Daniele Roccato - solo per contrabbasso ed elettronica

La performance inizia, senza spartito. Roccato è seduto a gambe aperte, con la viola posata tra i due piedi, appoggiata in alto sul collo, accanto al viso. Vicino, però, ha un computer, una pulsantiera, una cassa puntata verso di lui a sinistra e una a destra. Ho scoperto poi che la pulsantiera che usa si chiama looper, che infatti, a seconda di come il musicista lo manovra prende un certo frammento di musica e lo mette in rotazione. Lo fa aggiungendo anche un'eco o meno, con vari strati di registrazione che si stratificano e si susseguono. Roccato suona in un modo che è piuttosto sorprendente: non si risparmia nulla: gioca con il pizzicato, batte con un pugno lo strumento, vi scorre la mano sopra. Suona in modo struggente, deliberatamente violento, inquietante in modo cinematografico - la capacità tecnica eccezionale e un modo di suonare non convenzionale si combinano felicemente. 

Che cosa buffa che è l'arte contemporanea. Mi è capitato, nelle ultime settimane, di incontrarne, irritualmente, molta: un paio di mostre, qualche pagina scritta, ora un concerto. Concerto di cui non stavo capendo nulla, ma che mi piaceva molto, e posso dire che ho avuto la sensazione di starlo davvero ascoltando.

Noi, il grande pubblico, ci posizioniamo davanti all'arte contemporanea con un atteggiamento che è simile a quello della contrattazione: dal chiaro "no, non mi freghi" al "a quest'opera concedo di più", "questo mi emoziona, bello!". La merce in questione è l'arte, la moneta di scambio la nostra stima. Con l'arte non-contemporanea, quella che più generalmente troviamo in musei e chiese e - soprattutto - in poster, riferimenti pubblicitari, nei film e nei social, nelle tazze e nelle borse di tela è tutto più semplice e piacevole. Siamo educati: dalla scuola, forse, e soprattutto dall'abitudine. E' arte spesso vista e rivista, che appare con un linguaggio lontano, che ci fa rallegra (o annoia) per la forma gradevole, seppur vuota di un contenuto veramente significativo. 

L'estate scorsa un'amica cipriota è venuta in Toscana in vacanza. L'ho incontrata il giorno dopo la sua visita agli Uffizi. Il suo giudizio era il seguente "Bello sì, ma una sala mi sarebbe bastata. Erano tutti gli stessi gesù bambini brutti". Buona parte della storia dell'arte, almeno per quello che sembra al sottoscritto, è una variazione di alcuni stessi soggetti, siano religiosi, mitici, paesaggistici, urbani. Quando alla nostra noia non supplisce una forte scarica emotiva (è il caso di Van Gogh, Caravaggio e pochi altri fortunati) nè un pressante discorso pubblico noi non capiamo. E credo che molti amici giungerebbero alla stessa conclusione della ragazza cipriota, se non fosse per il timore referenziale (e allo stesso tempo feticistico) cui si accompagna l'arte in Italia. Nei musei cittadini l'arte contemporanea è raramente inclusa, posizionandola fuori dall'alveo di arte "riconosciuta" e parte dell' "educazione" del cittadino. Le persone sono private di un importante filtro, che, nel marasma della creatività umana, scegli ciò che, indubbiamente, merita la nostra attenzione e ne accompagna la fruizione.

A proposito di cose incomprensibili. Mi è capitata tra le mani l'opera maggiore di L. Wittgenstein "Tractatus Logico-Philosophicus". Al paragrafo 4.1212 si dice: 

Ciò che può essere mostrato non può essere detto

Lì, naturalmente, non mi era venuta in mente proprio questa frase (anche perchè nel frattempo la musica mi stava trascinando in una sorta di dormiveglia) ma ricordavo un concetto simile: come nel linguaggio non possa essere spiegato cosa lega l'oggetto e l'enunciato (cito dall'Introduzione di B. Russell - anche in questo caso vale l'argomento del dormiveglia). Ovvero: è impossibile spiegare cosa unisce il concerto per contrabbasso e l'esperienza umana che lo ha prodotto - lo stesso vale per tutta l'arte. 

Se uno ci pensa un attimo la pretesa che gli artisti producano arte perfettamente trasparente è folle. Il sottotesto è che essi potrebbero spiegarsi, ma noi dobbiamo credere che tra l'enunciato (che sia un'emozione, un ricordo, un concetto, una lotta o non so cosa) e il detto (che sia performance, tela, scultura o una fantomatica nuova trovata) ci sia un rapporto di necessità. Quella cosa poteva essere detta solo in quel modo, non v'è alternativa. La pretesa che tutti gli artisti diventino scrittori è malata, e basata sull'assunto che invece scrivere o parlare siano atti trasparenti, spiegabili solo perchè incagliati ad una grammatica più intellegibile (anche qui, questa idea di scrittura è vecchia di un secolo buono). Non c'è didascalia che tenga, aihme, l'arte è incomprensibile. Ma proprio perchè non è una verifica. 

Marlene Dumas è in mostra a Palazzo Grassi - Fondazione Pinault con "Open-end"

Marlene Dumas, un'artista sudafricana in mostra a Venezia, dice che con l'oggetto artistico non bisogna avere un rapporto contemplativo, ma promiscuo. E' comodo guardare l'arte avendola già inscatolata prima di averla vista: straordinario, noioso, irrilevante, incomprensibile. Queste rilevazioni possiamo lasciarle a chi l'arte la compra, ma noi possiamo invece concerderci il lusso di stare in un incontro senza sommergerlo di parole per spiegarlo, per convincerci, per inscatolare, per calcolare

Il concerto continua, sono contento perchè non capisco. Godo, invece, perchè non ho bisogno di trasferire un movimento del basso in una parola, in una frase - che sarebbe come voler rendere la Divina Commedia in un dipinto. L'arte contemporanea è incomprensibile, proprio perchè sennò non sarebbe arte, ma sarebbe perfettamente integrale a noi stessi. Senza frizione, nè novità.

Esco, sono contento, lo dico agli amici, ma non posso spiegare nulla della musica. Amen. 

 

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