Marginalia. "Il pensiero e la guerra" di J. Guitton

Marginalia sono annotazioni, scritte, glosse, commenti a margine di un libro, fatti da lettori, ma anche le decorazioni dei codici miniati che contornano le pagine.

La guerra, per noi europei, rimane una sfida intellettuale con pochi rivali. Nelle nostre città, specie in Italia, rimangono le targhe di quando celebravamo un coraggio che oggi consideriamo assassino. Celebrata o detestata, essa rappresenta una possibilità estrema della vita, uno sfociare di un ordine - culturale, politico, intellettuale, valoriale - nel suo opposto, nel puro caos. Una Città, ordine costruito e costruttivo, si rovescia nel caos de-costruttivo e annientatore dello scontro. 

C'è, evidentemente, della dialettica in questa realtà, un movimento che è troppo semplice e pericoloso lasciare alla mercè dell'impensato. Nella follia della guerra c'è un metodo e un pensiero. Di questo problema si occupa un breve testo appena ripubblicato da Morcelliana intitolato "Il pensiero e la guerra". L'autore è J. Guitton, intellettuale francese di area cattolica. Ci sono tre cose degne di nota dalla mia lettura del volumetto che conserverò in questi tempi di fanfara:

1. La guerra non può essere lasciata fuori dalle mura del pensiero. Il ritorno del tema della guerra nel dibattito pubblico (attenzione, ho detto tema e non realtà) ha mostrato il deficit di parole per esprimere le urgenze umane contenute in questo fenomeno. La guerra si propone come nuda vita, come pura forza distruttrice, orgogliosamente anti-politica (contro la politica di qualcuno), ma coinvolge anche realtà del pensiero. Ci siamo domandati - io me lo domando ancora - cosa significhi pace, come la pace sia in rapporto con la giustizia. Questo libro, un insieme di lezioni alla Scuola di Guerra del Ministero della Difesa francese tenute nella seconda metà del secolo scorso, non riesce a rispondere completamente alle domande. Nutre, però, con una sfacciataggine incoraggiante le domande, spingendoci a considerare la guerra oltre le valutazioni "istintuali", con risultati anche sorprendenti. Quando la guerra muove dall'ambito delle possibilità a quello dei fatti non è sufficiente una valutazione di astio, dato che siamo interrogati sulle sue ragioni, sui suoi distinti movimenti, sui suoi vari fronti. 

Illustrazione di M. Sironi

2. La minaccia atomica ha cambiato per sempre la scommessa della guerra secondo Guitton. Se si inserisce l'annichilimento assoluto tra i possibili risultati di un attacco, le ragioni dell'aggressione quasi si azzerano. Non so se sia vero, ma le pagine sulla Filosofia della Dissuasione nell'Era Nucleare sono senza subbio le più intriganti del libretto. E', quindi, forse possibile che le ragioni della pace siano fatte dai mezzi della guerra? Guitton offre una coraggiosa lettura dialettica della guerra, intesa come fenomeno che crea sintesi tra società in opposizione che può essere finalizzata ad una pace migliore -  impossibile non storcere il naso. Guitton argomenta bene però, legge Hegel in un maniera avvincente. La dimensione finito-infinito, tutto sommato, sono realmente presenti anche nella guerra non atomica (detta convenzionale): uccidere un uomo è già di per sè uccidere un infinito. Questa riflessione - che in parte contraddice Guitton stesso - dimostra la bontà di questo libro nel produrre un discorso sulla guerra oltre i gemiti del brutto e del bello. 

3.  La guerra, forse, è espressione contorta e ribaltata nel suo opposto, della capacità degli esseri umani di combattere per ciò che ritengono di valore. Questa cosa, secondo me, fa inciampare molti discorsi sulla pace: ciò che sta più a cuore agli esseri umani non è la loro vita. Guitton ci propone di guardare a questo dualismo tremendo (la guerra che è morte in nome della vita) con gli occhi rinnovati dalla minaccia nucleare. "Ovunque è scritto pericolo di morte", ovunque è scritto in nome di una vita. Ma, ora, nell'era atomica, non posso più distinguere la mia vita dalla tua, perchè l'opzione atomica è la possibilità della morte per la morte di entrambi. 

Al di là di questa considerazioni credo che il libro consegni una lezione più interessante e difficile. La guerra non si lascia costringere facilmente sotto un'etichetta. Pensare non è ripulirsi e il coraggio è anche una virtù del filosofo. La guerra, con la sua crudeltà, con la sua folle lode ribaltata alla vita ci spinge oltre le frontiere di un pensiero domestico, sulla soglia di ciò che di noi ci spaventa.


J. Guitton, Il pensiero e la guerra. Edizioni Morcelliana.

Pag. 220, 18 

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